Archeologia subacquea in Italia: alla scoperta delle meraviglie sommerse

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Introduzione

L’Italia è un museo a cielo aperto, ma anche un museo sommerso. Con oltre 7.000 chilometri di coste, laghi e fiumi, il Belpaese nasconde nei suoi fondali un patrimonio archeologico inestimabile: navi affondate, porti antichi, città sommerse, statue, anfore e pavimenti a mosaico. L’archeologia subacquea italiana si è sviluppata a partire dagli anni ’50, ma è solo nel XXI secolo che ha conosciuto un’evoluzione decisiva grazie all’uso di tecnologie avanzate come sonar, ROV (Remotely Operated Vehicles), droni acquatici e rilievi 3D. L’Italia, per la sua storia millenaria e la sua centralità nel Mediterraneo, è un crocevia di scambi e naufragi, dove ogni ritrovamento diventa un tassello per ricostruire rotte commerciali, stili di vita, eventi bellici e culturali. Come afferma Barbara Davidde, Soprintendente Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo: “Il mare non solo conserva, ma racconta. Ogni relitto è un testimone silenzioso di ciò che siamo stati.” In questo articolo esploreremo alcune delle più affascinanti scoperte subacquee italiane, le sfide dell’archeologia marina e il potenziale narrativo di questo universo invisibile.

Baia: l’Atlantide italiana tra terme imperiali e mosaici sommersi

Uno dei siti più straordinari dell’archeologia subacquea italiana è Baia, situata nel golfo di Pozzuoli, nei Campi Flegrei. Antica località di villeggiatura dell’élite romana, Baia fu soprannominata “la Las Vegas dell’antichità” per le sue ville sontuose, i templi e le terme monumentali. A causa del fenomeno del bradisismo, un lento abbassamento del suolo, gran parte della città è oggi sommersa da pochi metri d’acqua. I fondali ospitano un paesaggio unico: pavimenti a mosaico ancora intatti, statue adagiate nella sabbia, colonne e strade antiche visibili a occhio nudo. L’intera area è oggi protetta come Parco Archeologico Sommerso di Baia, visitabile con immersioni guidate o attraverso barche con fondo trasparente. Le ricerche archeologiche hanno riportato alla luce la Villa a Protiro, il Tempio di Diana, i ninfei imperiali e numerose decorazioni architettoniche straordinariamente conservate. Come dichiarato da Fabrizio Galeazzi, archeologo digitale: “A Baia, il tempo si è fermato sotto l’acqua: è una Pompei subacquea.” Il sito ha anche un alto valore simbolico: mostra come l’ambiente naturale e l’opera dell’uomo interagiscano in modo dinamico, e come il mare, spesso visto come distruttivo, possa invece conservare e proteggere la memoria del passato.

Navi romane e relitti commerciali: rotte sommerse del Mediterraneo

Il mare italiano è disseminato di relitti navali che testimoniano l’intensa attività commerciale del Mediterraneo antico. Le coste della Liguria, della Sicilia, della Campania e della Puglia custodiscono decine di navi romane affondate tra il II secolo a.C. e il III secolo d.C. Il ritrovamento di queste imbarcazioni, cariche di anfore vinarie, ceramiche, laterizi o lingotti di metallo, ha permesso agli studiosi di ricostruire le rotte marittime e le dinamiche economiche del mondo antico. Un esempio emblematico è la nave scoperta a San Pietro in Bevagna (Taranto), affondata con un carico di anfore africane destinate al mercato italico. Oppure il relitto di Albenga, tra i meglio conservati in Italia, con circa 10.000 anfore del tipo Dressel 1B. Questi relitti sono stati studiati grazie all’impiego di sonar a scansione laterale, ROV e modelli fotogrammetrici in 3D, che consentono di documentare lo stato di conservazione senza danneggiarlo. Come sottolinea l’archeologo Sebastiano Tusa, scomparso nel 2019: “Ogni relitto è una biblioteca chiusa in fondo al mare. Sta a noi decifrarla con rispetto e competenza.” Il mare diventa così archivio, museo e frontiera scientifica da esplorare.

Porti antichi sommersi: Ostia, Puteoli, e le infrastrutture marittime

Non solo navi, ma anche porti, banchine, moli e magazzini: l’archeologia subacquea italiana sta riscrivendo anche la storia dell’ingegneria marittima romana. I porti di Ostia e Puteoli (Pozzuoli), i due maggiori scali commerciali di Roma imperiale, avevano strutture straordinariamente avanzate: frangiflutti, moli artificiali, fari e silos. Grazie alle campagne subacquee condotte dal CNR e dalla Soprintendenza del Mare, sono stati individuati resti sommersi di magazzini, tratti di banchina e casseforme in cemento romano idraulico. Particolarmente innovativi sono gli studi condotti a Portus, il porto costruito da Claudio e ampliato da Traiano, i cui resti sommersi rivelano una pianificazione urbana portuale mai vista prima: canali navigabili interni, magazzini su piani multipli, scivoli di carico e perfino sistemi di drenaggio. La riscoperta di queste infrastrutture dimostra quanto fosse sofisticata la logistica romana e quanto il mare fosse una parte integrante dell’urbanistica antica. Come affermato dall’ingegnere navale Lorenzo Lazzarini: “I porti romani non erano solo terminali, ma hub intelligenti dove si incontravano economia, politica e cultura.”

Tecnologia e tutela: il futuro dell’archeologia subacquea

L’archeologia subacquea del XXI secolo è strettamente legata all’innovazione tecnologica. L’utilizzo di droni marini, sonar multibeam, realtà aumentata e intelligenza artificiale ha reso possibile esplorare aree prima inaccessibili, mappare interi fondali e creare modelli 3D navigabili. Tuttavia, queste scoperte comportano anche sfide enormi per la tutela e la conservazione. I beni sommersi sono esposti a rischi legati a cambiamenti climatici, pesca illegale, turismo irresponsabile e traffico di reperti. L’Italia ha istituito nel 2022 la Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo, un organo centrale per coordinare gli interventi su scala nazionale. Le collaborazioni con istituzioni internazionali (UNESCO, Università straniere, organismi di ricerca) sono fondamentali per garantire standard elevati. In alcune aree si stanno sperimentando sistemi di monitoraggio ambientale tramite sensori e boe intelligenti. Anche l’educazione del pubblico è cruciale: rendere accessibili virtualmente i siti (ad esempio, con app e visori VR) permette una fruizione rispettosa e diffusa. Come ha affermato la direttrice Davidde: “Proteggere il patrimonio sommerso è un dovere verso le generazioni future. Ma possiamo farlo solo unendo sapere, tecnologia e coscienza civica.”

Conclusione

L’archeologia subacquea in Italia ci insegna che il passato non si limita a ciò che possiamo toccare in superficie. Sotto il mare, nei fondali che lambiscono le nostre coste, si cela una storia fatta di incontri, naufragi, costruzioni grandiose e gesti quotidiani. È un mondo silenzioso, ma eloquente, che racconta chi eravamo e cosa siamo diventati. Grazie alla scienza, alla passione degli archeologi e al crescente impegno istituzionale, stiamo riscoprendo questo tesoro sommerso e rendendolo accessibile a tutti. Come scrisse Jacques Cousteau: “Il mare, una volta che ha lanciato il suo incantesimo, ti tiene legato per sempre.” E nel caso italiano, l’incantesimo è anche culturale, storico, identitario. Un mare che conserva e che continua a parlare, se solo sappiamo ascoltarlo.

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