Risorgimento italiano: il sogno dell’Unità tra idee, lotte e speranze

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Introduzione

Il Risorgimento italiano è una delle pagine più complesse, affascinanti e decisive della storia d’Italia. Un movimento politico, culturale e sociale che, nel corso del XIX secolo, portò alla nascita dello Stato unitario italiano nel 1861. Tuttavia, il processo fu tutt’altro che lineare: non fu solo un susseguirsi di guerre e trattati, ma anche un lungo percorso di idee, fermenti intellettuali, ribellioni popolari e sogni condivisi. Il Risorgimento non fu un evento, bensì un’epoca: un intreccio di speranze, ideali liberali, aspirazioni indipendentiste e dolorose repressioni. Come scriveva Massimo d’Azeglio: “Abbiamo fatto l’Italia, ora bisogna fare gli italiani.” Questo blog vuole ricostruire il cammino verso l’Unità, analizzando i protagonisti, le fasi principali e le contraddizioni di un processo storico che ha profondamente segnato l’identità nazionale.

Le radici del Risorgimento: Illuminismo, Rivoluzione e coscienza nazionale

Il Risorgimento non nasce dal nulla, ma affonda le sue radici nei decenni precedenti, soprattutto nell’Illuminismo del XVIII secolo e nella Rivoluzione francese. Le idee di libertà, uguaglianza e sovranità popolare, diffuse attraverso pamphlet, accademie e salotti letterari, prepararono il terreno per la critica al potere assolutista e alla frammentazione dello Stivale. L’occupazione napoleonica fu un catalizzatore fondamentale: nonostante le contraddizioni del dominio francese, essa contribuì a modernizzare le strutture amministrative e giuridiche, a diffondere il Codice Civile e a creare una prima coscienza unitaria, soprattutto tra élite intellettuali e borghesia. Con il Congresso di Vienna (1815), si restaurò l’Antico Regime, ma il seme dell’indipendenza era ormai piantato. Come scrisse Vincenzo Cuoco: “L’Italia non è una nazione, ma può diventarlo se il popolo prenderà coscienza di sé.”

Carboneria, moti del ‘21 e del ‘30: il fuoco sotto la cenere

Dopo il 1815, l’Italia fu divisa in sette Stati sotto il controllo diretto o indiretto delle potenze europee, in particolare dell’Austria. Le società segrete, come la Carboneria, rappresentarono la prima forma organizzata di resistenza. Composte da patrioti, ex militari napoleonici e intellettuali, esse promuovevano un’Italia unita e libera dal giogo straniero. I moti del 1820-21 in Piemonte e Napoli e quelli del 1830-31 in Emilia-Romagna e nelle Marche fallirono militarmente, ma dimostrarono che esisteva una volontà politica diffusa. La repressione fu feroce: condanne a morte, carcere, esilio. Ma l’idea non morì. Come scrisse Silvio Pellico nel suo Le mie prigioni: “Si può imprigionare un uomo, ma non le sue idee.” Questi primi tentativi di ribellione, seppur minoritari e frammentati, posero le basi per un movimento che avrebbe, decennio dopo decennio, guadagnato forza e consenso.

Giuseppe Mazzini e Giovine Italia: l’ideologia dell’Unità

Una svolta ideologica cruciale avvenne con l’opera di Giuseppe Mazzini. Nato a Genova nel 1805, Mazzini fu l’intellettuale che più di ogni altro seppe trasformare l’ideale dell’Unità in una visione etica, repubblicana e popolare. Nel 1831 fondò a Marsiglia la Giovine Italia, un movimento che promuoveva l’unità nazionale, la democrazia e la fratellanza dei popoli europei. La sua parola d’ordine era “Dio e Popolo”, una sintesi tra religione civile e missione nazionale. Mazzini scriveva: “L’Italia sarà una, libera e repubblicana, o non sarà.” I suoi tentativi insurrezionali, come la spedizione della Savoia (1834) o la Repubblica Romana del 1849, furono sconfitti, ma la sua influenza sull’immaginario patriottico fu enorme. Egli ispirò generazioni di giovani e creò una rete internazionale di solidarietà. Per molti, Mazzini fu il “profeta” del Risorgimento, colui che trasformò il sogno in missione collettiva.

Il 1848: rivoluzioni, costituzioni e delusioni

Il 1848 fu l’anno delle rivoluzioni europee, e l’Italia non fece eccezione. Scoppiarono insurrezioni a Palermo, Milano, Venezia, Roma. In molte città si ottennero Costituzioni liberali, come nello Stato Pontificio e nel Regno di Sardegna. La Prima Guerra d’Indipendenza (1848-49) vide il Regno di Sardegna guidato da Carlo Alberto combattere contro l’Impero Austriaco. Le Cinque Giornate di Milano furono l’apice dell’entusiasmo popolare. Tuttavia, la reazione austriaca fu brutale: le truppe di Radetzky riconquistarono la Lombardia, Venezia resistette fino al 1849. A Roma, la breve Repubblica Romana guidata da Mazzini e difesa da Garibaldi cadde sotto le armi francesi. Fu un periodo di grandi speranze ma anche di cocenti delusioni. Come scrisse Giuseppe Giusti: “Abbiamo fatto sogni da eroi e ci siamo svegliati sudditi.” Tuttavia, da quelle sconfitte nacque una nuova consapevolezza: per unire l’Italia, serviva una strategia più realistica e un alleato forte.

Cavour e il realismo politico: diplomazia, riforme e alleanze

Il protagonista della nuova fase risorgimentale fu Camillo Benso, conte di Cavour. Primo ministro del Regno di Sardegna a partire dal 1852, Cavour rappresentava l’ala moderata e monarchica del Risorgimento. A differenza di Mazzini, credeva in un processo graduale, basato su riforme interne e alleanze internazionali. Modernizzò lo Stato piemontese, potenziando ferrovie, scuola, agricoltura, industria. Partecipò alla Guerra di Crimea (1855), guadagnando l’appoggio diplomatico della Francia. Nel 1858 firmò con Napoleone III il patto di Plombières, che prevedeva una guerra contro l’Austria e la creazione di uno Stato italiano sotto la guida sabauda. La Seconda Guerra d’Indipendenza (1859) portò all’annessione della Lombardia e, grazie ai plebisciti, di Emilia, Toscana e Romagna. Cavour scriveva: “L’Italia si farà non con i sogni, ma con l’astuzia e la forza.”

Garibaldi e la spedizione dei Mille: il mito rivoluzionario

Giuseppe Garibaldi rappresentò la parte più eroica e romantica del Risorgimento. Eroe dei due mondi, veterano delle lotte sudamericane, nel 1860 guidò la celebre Spedizione dei Mille, un’impresa militare che avrebbe cambiato la storia. Con poco più di mille volontari, partì da Quarto (Genova), sbarcò a Marsala in Sicilia e, con il sostegno popolare e un genio tattico indiscusso, sconfisse le truppe borboniche risalendo fino a Napoli. Fu un trionfo. Garibaldi, però, non cercò il potere: consegnò le terre conquistate a Vittorio Emanuele II, pronunciando la celebre frase: “Obbedisco.” Questo gesto rafforzò l’idea di un’Italia unita sotto la monarchia sabauda. Garibaldi divenne un’icona popolare e internazionale: il simbolo del patriottismo disinteressato. La sua impresa diede slancio all’unificazione, completata poco dopo con l’annessione dell’Italia meridionale e la proclamazione del Regno d’Italia.

Il 1861 e oltre: Roma, Venezia e l’Unità incompiuta

Il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia, con capitale Torino e re Vittorio Emanuele II. Tuttavia, l’Unità era ancora incompleta: Venezia era sotto controllo austriaco e Roma sotto protezione francese. Nel 1866, grazie alla Terza Guerra d’Indipendenza e all’alleanza con la Prussia, l’Italia ottenne il Veneto. Roma fu annessa solo nel 1870, dopo la sconfitta di Napoleone III e il ritiro delle truppe francesi. L’entrata dei bersaglieri a Porta Pia sancì simbolicamente il compimento dell’Unità. Tuttavia, molte fratture restavano aperte: il divario tra Nord e Sud, l’analfabetismo diffuso, l’esclusione delle masse contadine dalla politica. Il Risorgimento aveva unito i territori, ma non ancora il popolo. Come avrebbe detto Antonio Gramsci: “La borghesia ha fatto l’Italia senza fare gli italiani.”

Conclusione

Il Risorgimento fu un lungo e complesso processo storico, attraversato da correnti diverse: monarchiche e repubblicane, moderate e radicali, religiose e laiche. Fu un intreccio di battaglie, diplomazie, tradimenti, ma anche di passioni civili, ideali e coraggio. L’Unità d’Italia fu il frutto di compromessi, ma anche di sogni e sacrifici. Ricordare il Risorgimento significa riflettere sulle origini della nostra identità nazionale, sui valori di libertà, giustizia e solidarietà che ancora oggi costituiscono la base della democrazia. In un tempo in cui l’idea di nazione sembra sbiadirsi, riscoprire quella stagione di lotta e speranza può aiutarci a comprendere meglio chi siamo e cosa potremmo essere. “L’Italia sarà quel che i suoi figli sapranno farne,” scriveva Giuseppe Mazzini. Quelle parole risuonano ancora oggi, più attuali che mai.

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