Mussolini e l’ascesa del fascismo: la conquista del potere in Italia

0
timetream.com (32)

Introduzione

L’ascesa al potere di Benito Mussolini e del fascismo in Italia fu un processo complesso e graduale che affondò le sue radici nelle frustrazioni del primo dopoguerra. Dalle piazze agitate dagli Arditi alle sedi devastate dei partiti socialisti, dalle colonne del giornale “Il Popolo d’Italia” agli scranni del Parlamento, il fascismo non arrivò al potere con un colpo di stato improvviso, ma con un misto di violenza, consenso e compromessi politici. Dopo il trauma della Grande Guerra, l’Italia si trovò in una crisi identitaria e sociale senza precedenti: milioni di reduci senza lavoro, scioperi massicci, inflazione galoppante e un apparato statale percepito come incapace. In questo contesto instabile, Mussolini riuscì a costruire un movimento che prometteva ordine, forza e una nuova grandezza nazionale. Come scrisse nel 1922: “Noi siamo la rivoluzione che salva l’Italia dal caos.” Questo blog ricostruisce, attraverso fatti, cronache e interpretazioni, il percorso che condusse Mussolini dalle periferie del socialismo alla guida assoluta del Paese.

Le radici del fascismo: guerra, rivoluzione e paura del bolscevismo

Per comprendere la nascita del fascismo, è essenziale analizzare il clima sociale e politico italiano all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Il biennio 1919-1920 fu segnato da forti tensioni: scioperi operai, occupazioni delle fabbriche, manifestazioni contadine, e un acceso scontro ideologico tra socialisti, anarchici e nazionalisti. L’ondata rivoluzionaria che attraversava l’Italia suscitò il timore di una “seconda Russia” tra le classi medie, gli agrari e i grandi industriali. In questo clima si inserì Benito Mussolini, ex dirigente socialista espulso dal PSI nel 1914 per le sue posizioni interventiste. Fondò il giornale “Il Popolo d’Italia”, espressione di un nazionalismo radicale e di un nuovo attivismo politico. Il 23 marzo 1919, a Milano, nacquero i Fasci di Combattimento, un movimento eterogeneo che riuniva ex combattenti, futuristi, arditi e piccoli borghesi in cerca di riscatto. Il programma iniziale era confuso: mescolava socialismo rivoluzionario, nazionalismo aggressivo e rivendicazioni sindacali. Ma il collante era l’anticomunismo e la volontà di imporre un nuovo ordine. Come scrisse lo stesso Mussolini: “Meglio vivere un giorno da leoni che cento anni da pecora.”

La violenza squadrista e il consenso popolare

Tra il 1920 e il 1922, il fascismo passò da movimento marginale a forza politica dominante grazie all’uso sistematico della violenza. Le squadre d’azione, composte da ex militari, studenti, agrari e disoccupati, attaccavano sedi socialiste, camere del lavoro, cooperative e giornali di sinistra. L’obiettivo era quello di spezzare la rete di potere del movimento operaio e contadino che, in molte zone, aveva assunto un controllo capillare del territorio. Le “spedizioni punitive” venivano tollerate, se non apertamente appoggiate, da autorità locali e forze dell’ordine. La magistratura si mostrava indulgente, mentre industriali e latifondisti finanziavano i fasci come strumento di difesa degli interessi padronali. Ma non fu solo il terrore a favorire l’ascesa del fascismo. Mussolini seppe anche costruire consenso, grazie alla propaganda martellante, ai discorsi enfatici e alla retorica del “ritorno all’orgoglio nazionale”. “Chi si ferma è perduto,” proclamava ai comizi. Il fascismo prometteva di restaurare l’autorità dello Stato, di mettere fine al caos parlamentare e di restituire all’Italia il prestigio internazionale. Fu questa ambivalenza – violenza e consenso – che rese possibile la sua irresistibile avanzata verso il potere.

La marcia su Roma: mito e realtà

Il 28 ottobre 1922 i fascisti organizzarono la celebre Marcia su Roma, passata alla storia come l’atto simbolico della presa del potere. Circa 25.000 squadristi si diressero verso la capitale da diverse regioni d’Italia. In realtà, l’azione militare fu più teatrale che efficace: i treni vennero usati per gli spostamenti, molti fascisti si limitarono a presidiare le stazioni, e l’esercito non oppose alcuna resistenza. La vera svolta avvenne nelle stanze del potere. Il re Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare lo stato d’assedio richiesto dal governo Facta, temendo una guerra civile o una reazione violenta del fascismo. Il 30 ottobre, il re conferì l’incarico di formare un nuovo governo a Benito Mussolini. Quest’ultimo arrivò a Roma in treno, indossando la giacca da borghese, non la camicia nera. La Marcia su Roma fu dunque più una messinscena che un’azione rivoluzionaria. Ma fu narrata come un’epopea patriottica, un momento di rinascita. “Il fascismo è l’Italia che risorge,” scriveva il “Popolo d’Italia”. La leggenda costruita attorno alla marcia servì a rafforzare l’immagine di Mussolini come “salvatore della patria”, un leader forte in un tempo di debolezze.

I primi anni di governo: compromesso e strategia

Una volta al potere, Mussolini adottò una strategia politica pragmatica e graduale. Il suo primo governo fu di coalizione, con la presenza di popolari, liberali e nazionalisti. Nei primi anni evitò di imporre un regime apertamente dittatoriale. Al contrario, cercò di rassicurare l’opinione pubblica e i partner internazionali, presentandosi come un garante della stabilità. Ma dietro questa facciata, il Duce lavorava per rafforzare il proprio controllo. La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), creata nel 1923, fu il primo passo verso una forza armata personale. La riforma elettorale Acerbo del 1923 garantì la maggioranza parlamentare al partito con più voti. Le elezioni del 1924, vinte con il 65% grazie anche a intimidazioni e brogli, sancirono il dominio fascista. Tuttavia, l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti nel giugno 1924 rivelò la vera natura del regime nascente. Mussolini, messo alle strette dalla crisi politica, il 3 gennaio 1925 assunse la responsabilità “morale e politica” dell’omicidio e proclamò l’inizio della dittatura. Da quel momento, il processo di fascistizzazione dello Stato fu inarrestabile.

Conclusione

L’ascesa di Benito Mussolini al potere fu il risultato di una crisi sistemica della democrazia liberale italiana, acuita dal trauma della guerra e dal timore della rivoluzione. Il fascismo si presentò come la soluzione autoritaria a un Paese frammentato e impaurito. Ma dietro le promesse di ordine e grandezza si celava un progetto totalitario che avrebbe condotto l’Italia alla censura, alla soppressione dei diritti civili e infine alla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. Capire come Mussolini conquistò il potere significa anche interrogarsi sui meccanismi di erosione democratica, sull’uso della propaganda e sul ruolo della violenza politica nella storia contemporanea. Come scrisse Piero Gobetti, uno dei più lucidi oppositori del fascismo: “Il fascismo non è un’improvvisazione, ma la continuazione della nostra storia di servilismi.”

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *