1922: la Marcia su Roma tra propaganda, mito e verità storica

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Introduzione

La Marcia su Roma rappresenta uno degli eventi più emblematici della storia italiana del Novecento. Avvenuta nell’ottobre del 1922, fu celebrata per decenni come l’inizio di una rivoluzione nazionale, raccontata dalla propaganda fascista come un gesto epico di liberazione e rinascita. Tuttavia, dietro il mito si cela una realtà molto più complessa, fatta di accordi politici, esitazioni monarchiche, pressioni militari e una componente simbolica fortissima. Non fu una vera conquista militare, bensì una presa del potere legalizzata da una monarchia in crisi e facilitata dalla paralisi delle istituzioni liberali. Questo articolo intende smontare la narrazione celebrativa costruita dal regime fascista e restituire alla Marcia su Roma la sua dimensione storica, analizzando i fatti, le contraddizioni e l’uso strumentale del mito nei decenni successivi. Come sottolineò lo storico Renzo De Felice, “più che una rivoluzione, fu una recita ben orchestrata”.

Il contesto: un’Italia in crisi tra guerra, socialismo e nazionalismo

Nel 1922 l’Italia era un Paese stremato. Uscita vittoriosa ma profondamente provata dalla Prima Guerra Mondiale, la società italiana era lacerata da conflitti interni, delusioni e violenze. Il biennio rosso (1919-1920) aveva visto una mobilitazione senza precedenti di operai e contadini, con scioperi, occupazioni delle fabbriche e fermenti rivoluzionari. La classe dirigente liberale era paralizzata, incapace di gestire la transizione postbellica. Le masse contadine chiedevano la terra, i reduci cercavano riscatto, i borghesi temevano il bolscevismo. In questo vuoto di potere e rappresentanza si inserì il movimento fascista fondato da Benito Mussolini nel 1919. Inizialmente minoritario, il fascismo crebbe rapidamente sfruttando il terrore della rivoluzione e la frustrazione patriottica per la “vittoria mutilata”. Le squadre fasciste, con il sostegno implicito di industriali, agrari e forze dell’ordine, iniziarono a devastare le sedi dei partiti socialisti e comunisti, instaurando un clima di intimidazione. La violenza, lungi dall’essere marginale, divenne uno strumento di potere. Come scrisse il quotidiano “Corriere della Sera” nell’agosto del 1922: “Meglio i bastoni fascisti del caos socialista.”

La preparazione della Marcia: tra minaccia e trattativa

Contrariamente all’immagine gloriosa diffusa dalla propaganda fascista, la Marcia su Roma fu preparata con grande attenzione strategica e politica. Benito Mussolini, consapevole dei limiti militari del suo movimento, evitò lo scontro diretto e lavorò sul piano della pressione psicologica e della destabilizzazione politica. Il congresso fascista di Napoli, il 24 ottobre 1922, fu il preludio della Marcia: Mussolini arringò la folla con il celebre discorso in cui annunciava: “O ci daranno il governo, o lo prenderemo calando su Roma.” Parallelamente, però, avviava contatti con ambienti monarchici, militari e industriali per rassicurare sull’obiettivo di “normalizzazione”. Le squadre fasciste furono mobilitate in diverse zone d’Italia: da Bologna, Perugia, Napoli e Milano partirono colonne dirette verso Roma, con l’intento di occupare simbolicamente punti nevralgici. Tuttavia, la reale forza militare fascista era modesta: circa 20-25 mila uomini, male armati e senza comando centralizzato. Il colpo di scena fu l’atteggiamento del re Vittorio Emanuele III, che rifiutò di firmare lo stato d’assedio proposto dal governo Facta. La monarchia preferì affidare il governo a Mussolini, temendo che la repressione avrebbe scatenato una guerra civile. Così, il 29 ottobre, il leader fascista ricevette l’incarico ufficiale di formare un nuovo governo.

La Marcia su Roma: evento reale o costruzione simbolica?

La Marcia su Roma ebbe un impatto reale limitato sul piano militare e logistico, ma enorme sul piano simbolico e mediatico. Le truppe fasciste non combatterono, non sfondarono le porte della capitale, e anzi, molte colonne si dispersero o furono rallentate dal maltempo e dalla disorganizzazione. Mussolini stesso arrivò a Roma in treno da Milano, ben vestito e senza armi. Tuttavia, la narrazione dell’evento fu subito piegata a una lettura epica: la stampa fascista parlò di “insurrezione nazionale”, di “popolo in cammino per la salvezza dell’Italia”, e le fotografie furono attentamente scelte per mostrare ordine, forza e determinazione. I giornali di regime nei decenni successivi usarono la Marcia come mito fondante del fascismo, celebrandola ogni anno con parate, filmati e celebrazioni solenni. Come scrisse Dino Grandi: “La Marcia su Roma non fu tanto un fatto militare, quanto una grande operazione psicologica.” Il mito servì a rafforzare il culto del Duce, a giustificare la fine del parlamentarismo, e a presentare il fascismo come il risultato inevitabile del desiderio popolare. In realtà, fu una resa delle istituzioni democratiche di fronte alla minaccia di un colpo di forza abilmente mascherato.

La complicità delle istituzioni e l’errore della monarchia

Uno degli aspetti più controversi della Marcia su Roma è il ruolo della monarchia e delle istituzioni liberali. Il re Vittorio Emanuele III, con il suo rifiuto di autorizzare la difesa di Roma, aprì la strada all’ascesa di Mussolini. Le motivazioni di questa scelta sono ancora oggetto di dibattito: timore di un bagno di sangue, desiderio di evitare la guerra civile, volontà di contenere il fascismo integrandolo nel sistema, oppure semplice debolezza politica? Di fatto, il re mise fine alla democrazia parlamentare con una firma. Il governo Facta si dimostrò impotente, i partiti liberali divisi, l’esercito esitante. In molti ambienti, il fascismo veniva visto come un male minore rispetto al comunismo. Come annotò il generale Pietro Badoglio nei suoi diari: “Mussolini portava disciplina, ordine, e l’esercito era stanco di indecisioni.” Questo consenso passivo permise al fascismo di legittimarsi legalmente e inaugurò una stagione ventennale di dittatura. L’errore della monarchia fu quello di credere di poter controllare Mussolini: ma una volta al potere, il Duce demolì ogni resistenza, riducendo il re a un simbolo decorativo.

La riscrittura fascista dell’evento: celebrazioni e propaganda

Negli anni successivi, la Marcia su Roma divenne il cuore del mito fascista. Ogni 28 ottobre si celebrava l’anniversario con parate militari, raduni di massa, documentari, canzoni e manifesti. Le scuole insegnavano ai bambini che “il Duce aveva salvato l’Italia dal caos”. I filmati dell’Istituto Luce mostravano immagini trionfali, mentre le autobiografie ufficiali esaltavano il coraggio e la determinazione dei “marciatori”. Mussolini stesso alimentò il culto della Marcia, rielaborando il suo ruolo, enfatizzando i rischi corsi, e presentandosi come unico salvatore della patria. Tuttavia, molti partecipanti raccontarono negli anni seguenti una versione più prosaica: disorganizzazione, fame, pioggia, e confusione generale. Alcuni storici, come Emilio Gentile, hanno dimostrato come la costruzione del mito fascista si basasse su una sapiente manipolazione delle emozioni collettive e dei simboli nazionali. La Marcia su Roma, così come narrata dal regime, fu un atto performativo, più simile a una sceneggiatura che a un evento rivoluzionario autentico.

Conclusione

La Marcia su Roma non fu una conquista armata, ma una concessione istituzionale, favorita dalla debolezza dello Stato liberale, dalla paura del cambiamento e dal calcolo politico. Tuttavia, il modo in cui venne raccontata e celebrata trasformò un evento relativamente marginale in una leggenda fondante del fascismo. Capire il divario tra mito e realtà della Marcia su Roma è essenziale per comprendere le dinamiche di erosione democratica e manipolazione simbolica che caratterizzarono il regime. Come scrisse lo storico Claudio Pavone: “La forza del fascismo fu soprattutto nella narrazione che costruì di sé stesso.” Oggi, a distanza di un secolo, è nostro dovere tornare ai documenti, smascherare la retorica e restituire alla storia la sua complessità. Solo così possiamo davvero imparare dai nostri errori collettivi.

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